Nord

È ormai da qualche anno che dalla Norvegia arriva un cinema caratterizzato da una particolare weirdness tutta scandinava, da un senso della narrazione obliquo che presenta in chiave particolare personaggi e situazioni. Basti pensare a film come quelli di Bent Hamer, di Petter Naess, o Pål Sletaune, solo per citarne alcuni di quei registi che con i loro film sono sbarcati nel nostro paese. Nord, diretto da Rune Denstad Langlo – esordiente nel lungometraggio di finzione – s’inserisce alla perfezione in questo filone: si tratta infatti di una bizzarra commedia on the snow che vede il protagonista Jomar attraversare in sella ad una motoslitta metà del paese verso settentrione, attraversando paesaggi sconfinati e perennemente innevati, alla ricerca di un figlio che non ha mai conosciuto e che ha appena saputo di avere. Se è vero che nei suoi assunti di base Nord non è un film originalissimo – la struttura è per l’appunto quella tipica di un road movie, dove il viaggio è primariamente viaggio interiore alla (ri)scoperta di sé stessi e verso il superamento delle proprie paure – lo è altrettanto che trova la sua personalità non solo nei setting particolari ma soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi, delle loro interazioni e nelle tonalità sempre in minore che vengono adottate. Nel corso del suo cammino, Jomar compie delle tappe che non sembrano affatto casuali: nel suo peregrinare s’imbatte prima in una ragazzina che vive sola con la nonna, poi in un iperagitato contadino poco più che ventenne, infine con un vecchio sami accampato su un lago ghiacciato. Una scansione generazionale, questa, che è evidentemente simbolica di un processo esistenziale tutto interiore al protagonista, ma che non dimentica la controparte e riesce anche a raccontare molto di un paese e di alcune sue caratteristiche sociali, demografiche, etnografiche, antropologiche. Il percorso e le avventure di Jomar contano poi su una regia attenta e miminale da parte di Denstad Langlo, che trova equilibrio e misura, gioca bene con i silenzi, con i piccoli gesti, con le dilatazioni. Ma è vero che a rendergli facile il lavoro è la qualità della sceneggiatura, opera di Erlend Loe, uno degli scrittori di punta della letteratura norvegese contemporanea (pubblicato in Italia da Iperborea) che più di una volta ha prestato la sua penna al cinema. La Norvegia viene descritta come una terra ostica, difficile da vivere, innevata, bianca e fredda. Poche casette sparse qua e là nel bianco in cui vivono diverse solitudini, diverse persone che in un modo o nell’altro hanno bisogno di qualcuno con cui scambiare due parole. Lo stesso Langlo e la sua troupe hanno ovviamente vissuto dal vivo la fatica di questi luoghi, girando il film in 34 giorni in condizioni terribili, con una temperatura quasi sempre sotto i 25° e con un forte vento costante. E di conseguenza anche il lavoro sul bilanciamento del bianco si è rivelato non poco ostico. Ne è uscito fuori, nonostante questo, un piccolo film anche nella durata e piuttosto divertente, che riesce nel suo intento di intrattenere e di invogliare lo spettatore a seguire con interesse il viaggio del suo  protagonista. Lo humour poi viene qualche volta squarciato proprio nei momenti in cui si rivela la solitudine  degli esseri umani, con almeno una sequenza di forte impatto (la fine del vecchio eremita). (2009) di Rune Denstad Langlo (Norvegia)

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